Sul "godere" le mie acqueforti

di Luigi Bartolini

Dipingerò, dunque, quello che mi pare e piace, e che sortirà da me stesso ma inaspettato e nuovo: ma in quanto all'opera compiuta io la amo meglio e di più quando la metto al mondo che dopo che ce l'abbia messa e che mi pende, immobile, come il lumacone al ramo, alla parete. E soprattutto evitare, nel mio studio, un'assemblea di quadri, con tele che parlano vocine da monache cappuccine, e teloni che parlano con la bocca d'un obice da 305. Scompagnate voci sempre anche se sono del medesimo autore. Nelle medesime ventiquattro ore della giornata tra l'alba e il tramonto il mezzogiorno e la notte, il tempo buono o magari un improvviso guastarsi, o sciroccare funesto o lampeggiare guizzando, il fulmine, bieco di sera tra le strisce da lutto delle nuvole orizzontali, cangia le mie sensazioni. Ammettiamo dunque anche la  presente incoerenza, nelle belle arti.

Ma, alla parete, un quadro alla volta. Se basta, un disegno; meglio ancora un'acquaforte. Le acquaforti non vanno appese come baccalà alle pareti. Il loro effetto si perde nello spazio. Vanno viste piuttosto, come le vedeva Baudelaire, il povero angelo diseredato. Egli che non trovò al mondo la sua casa la sua compagna la sua terrazza la sua celletta bianca di calcina. Baudelaire nelle brutte giornate o in quelle da semplice tempo cattivo si chiudeva rinserrato dove poteva o andava pei vicoli degli ebrei, nello spigolo rognoso di una  qualche bottega da venditore di vecchie stampe, a contemplarle segnetto per segnetto, con la lente da  ingrandimento. Vanno guardate, le belle stampe, non alla carlona, correndo con la fretta interessata d'un commesso viaggiatore delle Belle Arti, per le sale d'una esposizione.
E il miglior goditore, dell'opera d'arte, se essa è buona, è l'artista che l'ha messa al mondo. A distanza di tempo la va a ripescare (ecco perché Rembrandt ricomprava, a distanza d'anni le proprie stampe! Non per specularci,- come gli hanno attribuita questa sciocchezza - ma per tornarle a guardare con l'occhio amoroso che si trova, attraverso i segni, le sensazioni del tempo). Noi, dell'altra volta, tempo caro, glorioso e sfiorito: quando saremo vecchi, se ci arriveremo, vorremmo fare cosi.

(da Gli sposi, racconto di Passeggiata con la ragazza. Racconti e Acqueforti, Vallecchi Editore, Firenze 1930)