La “Storia del Martin pescatore”, l’acquaforte del 1935 di
Luigi Bartolini più famosa e celebrata dell’immenso “corpus” di incisioni
dell’artista marchigiano, sembrava non avere più segreti. Dal 1935 ad oggi,
innumerevoli scritti – lettere, libri, riviste e cataloghi d’arte – ne hanno
decantato la bellezza, il fascino, la modernità compositiva, ancora oggi
inalterati. In realtà l’evoluzione incisoria di questa favolosa lastra
nascondeva un enigma: se ne conoscevano due versioni, due “stati” come
tecnicamente si definiscono le stampe dei diversi interventi di un artista
sulla lastra. Oggi si può ipotizzare che gli stati del Martin pescatore siano
almeno quattro, o addirittura cinque, a dispetto della bassissima tiratura del foglio - solo una
dozzina di esemplari - dei quali non si conosce con certezza neppure il numero
dei fogli giunti integri sino a noi.
La nascita dell’incisione viene raccontata dall’autore in un
suggestivo capitolo del libro “Vita di Anna Stickler” (Roma, Tumminelli 1943).
Morte e rinascita del Martin Pescatore
(…) Lungo l’Adige,
verso i solitari approdi, ad un molinetto fra canneti, infossato, lungo
l’argine del fiume, erano baracchette vuote: come casettine costruite a bella
posta per gli amanti. (…) Fu intanto in una di tali capanne che io incisi (la
Anna accanto) la storia di un Martin pescatore che tutti e due avevamo
osservato lungo una deviazione dell’acqua, in quel tratto dell’Adige che fa
confluenza con l’Isarco. Credo che avessi con me, quel giorno, anche il fucile.
Debbo avermelo, di certo, portato; altrimenti, nell’incisione, non si vedrebbe
un uomo che cammina lungo i cesposi argini di un fiume e che sembra un
cacciatore col cappelletto alla tirolese. (…) …io non diedi, lì per lì, alcuna
importanza alla lastra del Martin pescatore e, di ritorno dalla nostra
passeggiata, la gettai in un cantone dello studio, fra le tante cose che sempre
ho gettato via o che ho destinato alla distruzione come quelle che mi
sembravano le meno riuscite. E fu molto più tardi, fu dopo la dipartita della
Anna, che, per me, tale incisione assunse il valore di un documento,
testimonianza, “valore d’amore”.
In un angolo di essa si vede il cane col Martino in bocca. In un altro angolo
si vede il cacciatore che lo uccide. Lungo un lato è il Martino che brilla al
sole, mentre tesse la sua spola da onda d’acqua ad onda d’acqua. Onda per onda,
intrecciando lungo il fiume, il Martino ricama, di voli turchini, le sue
rive. Fa come la spola. Lo si vede che
va e ritorna. Quando va, lo salutano gli occhi; lo si osserva con attenzione
perché si teme che la sua scia, celeste azzurra turchina, l’occhio garrulo e
rotondo, e che si distingue anche mentre vola, quell’apparizione ben
personificata della gioia più pura, non abbia a farsi più rivedere. Ed invece
il Martino vola e rivola. Non fa che volicchiare lungo un tratto delle acque,
all’istessa ora. Cerca efelidi, zanzare, farfalline, minuscoli vermi,
moscerini. Intanto è da osservare che anche egli è cacciatore. Anche il Martino
uccide qualche cosa: perché questa legge di uccidere è sparsa all’infinito,
nella isterminata natura. Non v’è vita che non si serva d’una morte. Non c’è
attimo in cui non muoia, al mondo, qualcuno.
Si direbbe che vita e morte siano due apparenze e non due sostanze. Ma come
rassegnarsi ad essere, rimanere indifferenti, dinnanzi alla morte di una cosa
che ci piace? Io esitavo ad uccidere il Martin pescatore. Ed innanzi di farlo
lo osservai lungamente. Lo amai tanto fino a che l’infantile desiderio di
possederlo – anche per farne un dono gradito ad Anna – mi prese e mi vinse.
Quindi lo uccisi. Era gentile e d azzurro e sembrava una spola di seta celeste
con riflessi turchini; avremmo potuto, per altre sere, continuare ad
incontrarlo e deliziarci della sua vista; eppure lo uccisi.
(…) … ritrovammo il
Martin pescatore. Era ancora caldo. E non era morto bene. Una zampina gli
tremava. L’altra, la mitraglia gliela aveva sgretolata. Ma il suo piumaggio era
ancora fresco: come bocciuolo non divelto dal verziere: era ancora lucido e
terso e fresco come seta tessuta; aveva iridescenze da pietra preziosa
turchina. Subito considerai la vanità d’averlo ucciso. Molte sono le cose che,
desiderate in un modo, appaiono, dopo che uno le abbia acquistate, o
conquistate, o strappate a chi dianzi melanconicamente le possedeva, non più
tali da fare gola. E che invece di continuare a piacere incominciano a
dispiacere. Ci recano dell’imbarazzo. Ci destano raccapriccianti pensieri.
Volgono la sica dei pensieri verso idee amare.
La Anna, intanto, s’era tinta la punta del dito col sangue del Martino e mi
chiese un fazzoletto per disgrumare il sangue con la saliva. Osservai che il
Martino, morendo, perdeva rapidamente la sua bellezza. Le forme non sono più le
armoniose della natura, dopo che siano morte; ma sono sgradevoli, caricaturali.
Quando approdammo alla capanna, e ci mettemmo a sedere sul pancone, io
estrassi, da una mia borsa, la ladra da incidere e per primo incisi il Martino
appena morto. Intesi quanto di strana caricatura significhi ogni morte: le ali
si erano sgaruffate; delle penne e delle piume, alcune erano diventate irte. Le
lisciai con il palmo della mano ed esse si afflosciarono, si strinsero come un
ombrello che si richiuda. Le penne s’avvolsero sul corpicino intirizzito,
mentre io le lisciavo. Intesi, al tatto, lo scheletrino dell’animale. La
cervice aveva pelle e piume dilacerate, il becco sembrava troppo lungo: simile
a quello della lugubre cornacchia. Come quello della cornacchia, o come l’altro
del picchio canzonatore, appariva caricaturale.
E fu molto tempo dopo, fu un giorno quando io stavo, in tristi pensieri,
serrato dentro lo studio, come in un carcere volontario, che ritrovai per caso,
in un angolo buio, la lastra del Martino, e che avendola ripresa in mano per
osservarla, mi ritornò dinnanzi agli occhi l’immagine che spoleggiava di giunco
in giunco, fra i canneti della riva del fiume.
L’immagine mi passò, dalla memoria alla mano, in un attimo; e senza che mi
accorgessi di compiere sforzo, trapassò dalla mia mano alla lastra. In tale
lastra si vede la codetta del Martino che vibra mentre dirige il volo col suo
ventaglio di piume. (…)
La genesi della lastra
Fino a pochi anni fa - dicevamo - si prendevano in
considerazione due versioni della medesima lastra: quella definita “in primo
stato”, raffigurata sia nell’ Enciclopedia Treccani, sia nella maggior parte
dei cataloghi pubblicati sino ad oggi sull’opera dell’artista marchigiano.
Solo negli ultimi tempi, in due diverse vendite all’asta,
sono comparse altre versioni dell’opera che gettano una nuova luce sull’evoluzione
dell’incisione, sulla vera “Storia” del Martin pescatore di Luigi Bartolini. Ma
andiamo con ordine.
La “Storia del Martin Pescatore” è stata incisa su una
lastra di recupero, una lastra, cioè, già utilizzata in precedenza dall’autore.
Ne è prova la figura femminile che compare, anche solo in contorni
approssimativi, sul lato sinistro delle prime stampe, nonostante gli evidenti
interventi di cancellazione fatti dall’artista. Si è sempre pensato che l’incisione,
tirata tra i 12 e i 15 esemplari, abbia avuto due “stati”: la prima versione, la
più conosciuta e pubblicata, e la seconda, appesantita dai successivi
interventi di ripensamento dell’artista tanto da essere da lui stesso definita
“mal riuscita” e quindi ripudiata. E questo perché – dicevamo - i rari
esemplari comparsi nelle mostre dell’ultimo mezzo secolo si riferiscono
soprattutto a due soli stati dell’incisione. Ma ecco le osservazioni che hanno portato a
conclusioni diverse.
Primo stato
Il primo stato presenta gli angoli della lastra vivi e la
figura della donna sul lato sinistro è ancora ben visibile nella sua forma e
nel disegno dei piedi, nonostante i tentativi di cancellarla dalla lastra di
recupero su cui è stata fatta l’incisione. Gli angoli laterali sono taglienti,
tanto da incidere in profondità la carta dell’unico esemplare in primo stato
attualmente conosciuto (es. 3/5) (Fig.1).
Gli unici repertori che raffigurano un esemplare stampato
dalla lastra non danneggiata, e quindi del primo stato, sono il Chiantore (Tav.
XV), il Marchiori su Emporium 1936 nell’articolo Le acqueforti di Luigi
Bartolini (pag. 243) e ancora il Marchiori, Storia di una vita, Gradisca
d’Isonzo, che presenta alla Tav. XVII l’esemplare della Collezione Lamberto
Vitali. Negli altri repertori e libri consultati (Barsanti n. 575,
Marchiori Tav. XXVII, Marca d’Acqua n. 11, Esemplari Unici o Rari pag. 127,
L’Attico n. 70, Appella n. 187, De Luca n. 58, Gall. Don Chisciotte n. 36,
Mostra Spoleto 1969, Vita di Anna Stickler pag. 136 e Storia del Martin
Pescatore – Scheiwiller) vengono riprodotti esemplari stampati con lastra
rovinata.
Tra il primo e il secondo stato abbiamo rilevato un interessante passaggio
intermedio. La lastra comincia a deteriorarsi nella parte bassa, lasciando
nella stampa delle puntinature d’inchiostro, una sorta di granitura non voluta.
Questo stato intermedio è testimoniato da un esemplare recentemente esaminato
(Fig.18), posto in vendita alla fine del 2020 da Mattia Jona, mercante d’arte
di Milano e proveniente dalla collezione di un amatore d'arte milanese, Luigi Simonetti. Bartolini non è ancora intervenuto sulle tracce della figura
femminile per cancellarle definitivamente, né ha ritoccato elementi della
composizione: ha solo rilevato questo inizio di deterioramento tra il cane a
sinistra e il Martino nell’aureola di destra (Fig.19). Un deterioramento
probabilmente causato dall’esiguo spessore della lastra, già riutilizzata
e assottigliata dalla precedente rimorsura.
La scritta autografa a matita sotto la firma (Fig. 19) (unico esemplare
buono su otto…) indica che Bartolini, dopo la tiratura del primo stato con
lastra non deteriorata, ha fatti ben otto tentativi di stampa salvando solo
l’esemplare di Mattia Jona.
Secondo stato
Il secondo stato presenta ancora la lastra ad angoli vivi
(Fig.2). Non è però possibile sapere se anche gli spigoli taglienti della
lastra sono rimasti vivi o se l’artista abbia già limato la “bava” metallica che
tagliava le stampe sui lati.
La donna sulla sinistra è decisamente meno visibile grazie a
nuove cancellature (Fig.3).
Sull’uccello al centro in basso Bartolini è intervenuto sia
sull’occhio sia sul piumaggio e, infine, sull’ala visibile (Fig.4). Sull’uccello
di sinistra col becco rivolto all’insù è stato rifatto il verme nel becco, che
qui in parte pende sulla destra (Fig.3).
Per questi interventi l’artista ha
effettuato una nuova morsura con il “mordente del Piranesi”, che ha cominciato
a danneggiare la lastra in basso, tant’è che comincia a vedersi il reticolo
d’inchiostro (non voluto) che, partendo dall’uccello di destra, sormonta la
testa dell’uccello centrale arrivando fino al cane a sinistra, confondendone il
disegno (Fig.5).
Un altro dettaglio interessante è rappresentato dalla
datazione e dall’indicazione della tiratura autografe iscritte a matita accanto
alla firma in basso a destra. La data è 1936, l’anno successivo alla prima
incisione dell’acquaforte; la tiratura è poi indicata come 2/B ed è la prima e
l’unica volta che Bartolini usa questo tipo di indicazione (una lettera accanto
a un numero) per classificare una sua acquaforte. Da questa datazione,
indubbiamente autografa, si evince che, dopo la prima tiratura del 1935 di 5 o
6 esemplari, Bartolini abbia atteso quasi un anno per riprendere in mano la
lastra e tirarne altre copie, non prima però di ritoccarla e di effettuare una
nuova morsura col famigerato “mordente del Piranesi” che rovinerà
irrimediabilmente la lastra. Il titolo,
poi (Storia poetica del martin pescatore)
compare anch’esso in una variante inedita: i titoli conosciuti erano “Ricordo d’una giornata di caccia: Il martin
pescatore” e “Storia del martin
pescatore”.
Perché Bartolini ha voluto intervenire su una lastra che già restituiva sulla carta un’opera di grande bellezza? I motivi possono essere diversi. In primo luogo, l’eterna insoddisfazione dei risultati del suo lavoro che lo portavano, a causa di un perfezionismo mai sopito, a rivedere, ritoccare, reincidere, spesso con “furore panico” e talvolta con certosina delicatezza, le sue opere. Ma ci sono anche motivi pratici. Si è detto che la lastra usata era già stata incisa e cancellata, ma la traccia della figura femminile compariva ancora in sottofondo, disturbando la nuova composizione. C’è stato quindi un nuovo intervento di cancellazione dell’ombra della donna. Ma il vero motivo della nuova incisione si trova nell’occhio del Martino centrale, a becco in giù. L’uccello è morto, ma il suo occhio risulta ancora aperto, vivace, molto simile a quello che si vede nella figura a destra dell’uccello vivo nel pieno del suo splendore. Ecco, l’occhio è stato spento con numerosi segni che hanno poi interessato l’intera testa dell’animale. Ma giacché c’era, Bartolini ha ritoccato sensibilmente anche il piumaggio e l’ala visibile del soggetto centrale, senza però toccare le ombre, e infine definendo e allungando il vermetto nel becco del Martino a sinistra.
Terzo stato
E’ quello che erroneamente è stato finora considerato il
primo stato.
Il terzo stato presenta la lastra con gli angoli
arrotondati: qui sicuramente Bartolini ha limato anche la “bava” degli angoli
(Fig.6).
Si rivela un nuovo intervento sull’uccello in basso al
centro: l’ombra sulla destra è di due cm. più alta e ora abbraccia quasi
completamente il corpo del Martino.
L’ombra ovale dell’uccello di destra è stata a sua volta sensibilmente
rinforzata e il nuovo reticolo ne ha ridotto la trasparenza. Questi interventi sono
stati necessariamente seguiti da una terza morsura che ha ulteriormente
danneggiato la parte bassa della lastra accentuando le fioriture d’inchiostro
non volute.
Quarto stato
Il quarto stato (l’esemplare della Collezione Timpanaro, Olschki, n. 62 pag. 152) “è la lastra del Martin Pescatore corretta e male riuscita nelle correzioni / da considerare rifiutata” come scrive in calce a matita lo stesso Bartolini (Fig.7). Ma è questa la versione su cui le nebbie dell’enigma non si sono ancora dissolte. Potrebbe essere infatti davvero un quarto stato della lastra originaria (le misure, 252x333 mm., coincidono perfettamente) su cui Bartolini avrebbe effettuato moltissimi interventi, alcuni dei quali radicali. Il disegno originario coincide nei minimi dettagli e l’artista potrebbe aver appesantito le ombre, ripassando poi tutti i tratti leggeri di tutti i disegni; avrebbe rinforzato i tratti del cacciatore in alto a destra e del cane in basso a sinistra, che era quasi scomparso. Avrebbe poi ripassato e ombreggiato l’uccello in alto a destra, reincidendo i due uccelli a sinistra, il canneto, i giunchi e il fiume. Avrebbe infine mascherato il danneggiamento della lastra in tutta la parte bassa della lastra con un fitto tratteggio. Abbiamo sinora usato il condizionale perché è da prendere in considerazione anche un’altra ipotesi: che questa quarta versione possa provenire da una seconda lastra, reincisa su un nuovo zinco copiando perfettamente il disegno della prima ma, a causa degli appesantimenti rispetto alla lastra originaria, “mal riuscita” e, quindi, rifiutata dall’autore. E quest’ aspetto dell’enigma potrà essere svelato solo rintracciando la matrice – o le matrici – del Martin pescatore.
Ultime annotazioni
Tra i vari stati dell’acquaforte ci sono stati alcuni marginali interventi di Bartolini (sul becco del Martino a sinistra, in cui è stato inserito un verme), sulla pannocchia lacustre, sull’occhio del Martino centrale ecc. che non si possono considerare “stati” della lastra ma che hanno comportato altre rimorsure nell’acido e che hanno contribuito a deteriorare ancor di più lo zinco.
Di seguito, la descrizione dell’opera in un catalogo del 2003 e alcune delle “lettere bartoliniane” in cui si parla dell’incisione.
● (Dal catalogo Incisioni uniche o rare 1923-1943 -
Marca d’Acqua, Milano 2003)
Rarissima incisione, esposta in tutte le
più importanti mostre di grafica nazionale e non, è forse la più celebre e celebrata
del corpus bartoliniano ammirata come “capolavoro difficilmente superabile”
(Marchiori G. – Le acqueforti di Luigi Bartolini, in “Emporium” , LXXXIII
maggio 1936, pag. 245), ne furono grandi ammiratori e possessori del foglio:
Timpanaro, Montale, Neri Pozza che nel 1942 ne chiese un esemplare, un
esemplare è nella collez. Meroni, nella collez. Volpato di Roma e uno alla
Calcografia di Roma. Si pensa che la tiratura non abbia superato i 12/15
esemplari, tra i rarissimi con lastra integra e i successivi stampati con
lastra rovinata o ritoccata.
● Con la lettera del 16 ott. 1936 all’amico C.A. Petrucci,
Bartolini annuncia la perdita della lastra originale: Ti manderò, presto, un buon esemplare, l’ultimo – la lastra è rovinata
perché morsa col mordente del Piranesi.
● (Lettera di S. Timpanaro a Bartolini dell’1.12.1936, Catalogo Olschki)
Caro Bartolini, ieri
sera non ho saputo resistere al desiderio di far vedere il Martin pescatore e
trepidando (temevo che me lo sciupassero) l’ho portato al Caffè delle Giubbe
Rosse. C’erano Montale, Ramat, Vittorini, Capocchini, Pucci, Bucci, Polloni. E’
stato un trionfo. Com’è bello, com’è bello! E guarda questa testa, e l’altra
non è meno bella, e i canini e il cacciatore; tutta la zona di sinistra è un
poema, tutto è un poema. A Montale si è acutamente risvegliata la sua passione
giovanile per gli uccelli meravigliosi. Aveva molto lodato l’acquaforte attraverso la riproduzione di Scheiwiller ma con qualche nostalgia coloristica.
Vedendo l’originale ha ammirato più degli altri e mi ha chiesto il suo
indirizzo. E’ stato, glielo ripeto, il più autentico trionfo (…)
● (Lettera di S. Timpanaro a Bartolini dell’11.12.1936,
Catalogo Olschki)
Caro Bartolini. Avrai già saputo che
Montale ha ricevuto il bel Martin Pescatore e che è molto contento. Ti voglio
però comunicare, a titolo di cronaca, una piccola circostanza. Nella copia di
Montale c’è un 5/5 come nella mia, a quanto mi dice lui (io non ho visto la sua
copia). Probabilmente la mia copia dev’essere la quinta e quella di Montale la
quarta. Oppure le copie sono sei.
Tu veramente mi avevi
scritto che una copia l’ha il Ministero, una Meroni, una un visitatore della
Biennale, una è ai Sindacati.
Con la mia copia e con quella di Montale arriveremmo a sei. Può darsi però che,
scrivendo Sindacati, tu intendessi alludere alla copia di Montale. Per me, lo
ripeto (e credo anche per Montale e chi non abbia il feticismo della rarità)
l’importante è che la copia sia bella. Se tu domani potessi rifare anche molte
copie del Martin Pescatore non per questo la mia copia sarebbe meno bella.
Potrebbe diminuire il suo valore commerciale, non quello artistico, che è il
solo che conta per me (…)
● (Lettera di Bartolini a C.A. Petrucci, Catalogo Calcografia
nazionale pag. 270 – 17.9.36)
Caro Petrucci, ti ringrazio vivamente per
la notizia dei prossimi concorsi autunnali. E ti ringrazio per la notizia
dell’acquirente dell’acquaforte del Martin pescatore. Ma come dargliela (ne ho
tratti soltanto 5 esemplari) a meno di 190 lire? (…)
● (Lettera di Bartolini a C.A. Petrucci, Calcografia nazionale
pag. 271 – 16.10.1936)
Caro Petrucci, ti sono infinitamente
grato per l’ottenuta vendita della mia acquaforte “Il martin pescatore”. Ti
accuso ricevuta delle £ 185 più 5 per spese. Ti manderò presto, un buon
esemplare - l’ultimo - la lastra è rovinata perché morsa col mordente del
Piranesi; i sali hanno dato fuori dopo; dagli intagli, dopo e cioè anche dopo
l’inchiostrazione e la ripulitura. Segno, anche, che non avevo inchiostrato
bene, e ripulito bene. Non si termina mai di apprendere. Ma del resto il
mordente del Piranesi lavora sopra lo zinco, come sul rame quello olandese.
Secondo me, dopo le morsure la lastra di zinco va lavata con ammoniaca diluita.
Prima con acqua poi con ammoniaca diluita. Fatt’è ripeto, che la lastra è irrimediabilmente
perduta. Perduta prima ancora che non avessi potuto trarre un originale
veramente buono. E la verità è che tali lastre vanno stampate su carta di
china. Carta di china che non mi riesce di trovare… Che poi la lastra del
Martino si sia rovinata, fa niente. Ne farò altre (…).
● (Lettera di Bartolini a C.A. Petrucci, Calcografia nazionale
pag. 275 – 12.3.1937)
(…) Del martino l’esemplare che ti mando
è l’ultimo. L’ho ritrovato per caso fra acqueforti scartate. Come vedrai è
esemplare fresco (si vede dai tagli a punta a secco). Saprai che tale incisione
è nel rovescio d’una lastra. Un rovescio preparato a cera lì per lì, disegnato
di getto. La lastra essendo di zingo non ha servito se non a 5, oppure 6, copie
buone. Ho provato a ritoccarla, l’ho rovinata. Insomma, mi mancano i mezzi per
lavorare e cioè uno studio con luce, buone bacinelle buoni acidi etc. etc. (…).