Non vi disturberò, cari uccelli. E tanto meno disturberò te, con i miei passi, pettirosso, che rechi, al vento, suono simile a quello di due pezzi d'argento percossi insieme. Voi, uccelli, mi sarete, come sempre, veramente amici. Né è possibile litigare con voi. A voi nulla è da rimproverare. Rappresentate l'alta innocenza sfuggita al consorzio degli umani. Voi si che veramente vivete! Voi si che siete liberi! Vi veste Iddio di piumaggio incantevole: si che la più bella veste d'indossatrice decade, non conta più nulla al paragone della vostra. Nessuna veste, sia di principe o ché, è paragonabile alla vostra naturale, aderente al vostro corpo e che lo modella, o, meglio, lo modula, lo accarezza, lo rende di forma agile e preziosa. E voi, mandorli; sciupati non dal vento o dalle brine di marzo; ma soltanto dai poetini. E voi bianche aureole d'altri alberi in fiore, nel cupo sfondo (viola) delle colline. E voi, edere a forma di cuore. Pendule erbe abbarbicate ai querciuoli piranesiani. E te, capelvenere dal nerissimo stelo, lucidissimo crine. Capelvenere che ammanti e decori le logge delle archeggiate piccole rustiche fontane. E voi, lavandaie angeliche: solitarie alle solitarie fontane. Il vostro piede è scalzo o poggia, rosato, su erti zoccoli di salcio o di sicomoro. E voi, graniture ad uncini nani, verdi steli: su cui scorre Primavera ed il suo vento carezzevole. E un vento che pone brividi nelle vene. Te, ampia terra, ondeggi, tutta verde sino all'orizzonte. Non scerberete, o scerbatrici chine sopra i giovani solchi, le nascenti arricciolate foglie dei papaveri. Lascerete che un poco di vermiglio sbocci - domani — in mezzo all'utile verde. Non scerberete troppi steli di fiordalisi: chiusi, oggi, al sole; ma, domani, azzurrissimi: stelle terrestri disseminate fra l'opulenza delle graniture.
E voi, campi di saggina, dai fiori violetti, non temerete il
solitario viandante. Squinquinano in mezzo alle saggine i frementi richiami
d'amore delle quaglie. A squinquinare sono le femmine: mentre i maschi tardano
(al contrario di noi umani) a rispondere con il loro nasale "ma-mao".
Fosse, il nostro mondo, il nostro genere, come il vostro, o quaglie, che,
femmine, siete voi a richiamare i maschi, mentre a noi, poveri uomini, tocca
adoperare mille moine, mille richiami per allettare le femmine spavalde. Antri
deserti, anche se le ninfe non fossero mai esistite, noi continueremo a
sognarle! Ondeggiavano di veli lungo le rive dei selvatici fiumi? Erano pietose
verso gli uomini selvaggi? Fu verità , o fu omerica follia, fu inganno del Poeta
cieco, la loro presenza, sul far della notte, lungo le rive dello Scamandro, a
detergere, pietose, le ferite degli uomini che cavallerescamente s'erano
battuti insieme? Avevano combattuto insieme; ma, al massimo, la lunga asta
avversaria aveva spezzato la costola del nemico. Furon, tali, bugie? Oppure ci appaiono
tali, al paragone d'armi che superano ogni individuale coraggio possibile ad un
mortale? Allora combattevano soltanto i giovani e si combatteva soltanto per le
fatali Elene. Oggi si combatte, invece, non si sa più perché: meno che per
distruggere un numero eccessivo d'esistenze umane. Eccetera eccetera: ché,
ormai — domani come sarà Primavera — vorrò, se mi sarà possibile, dimenticare
la nera angoscia. Mi sia - ci sia — possibile dimenticare! Presto!: domani,
come sarà Primavera, presto che io chiami il nome del suo Iddio, celestissimo e
verde. Presto! : che io me lo raffiguri. Presto: che lo riveda in terra,
laddove non giunge il sordo e tetro rumore delle città . È un volto che mal si
raffigura da chi non educò se stesso alle beate illusioni della gioventù. È un
volto che può passare di memoria. E una presenza che può sfuggire a noi stessi.
E uno stato di grazia armoniosa e che scorre dal cielo alla terra.
Il termometro segna dieci gradi sopra zero. Non fa più freddo; non e ancor
caldo. Non si ode, intanto, per le strade di campagna, lamento, di voce,
alcuno. Non incrinature di nuvole in cielo. Ombre, men che serene, non appaiono
fra i canneti. E, domani, quando Primavera sarà passata, torneremo a
desiderarla. Mediteremo che si vive trecento giorni all'anno: per gli akri suoi
sessanta o poco più. I tuoi denti sono senza carie. Le tue gengive sono
asciutte. Il tuo occhio è chiaro. L'aria dolce penetra, oggi, nelle città ,
anche laddove ieri era odore di muffe, stantio, di vecchie botteghe. Le
finestre si spalancano. I vecchi non mormorano contro la fantesca che sta in
finestra, giuliva, a sbatter panni. È festa! è festa!. Le facciate delle case
assomigliano a candide ali. Il drin-drin del tranvai assomiglia al campanello
da Messa. Ognuno, di quei rumori, vari e persistenti, soliti in altre stagioni,
urtanti, della Babele cittadina, non recano, oggi, uggia o dispiacere. Ogni
rumore è bevuto dalla grand'aria. Reca piacere anche lo "on-dè"
"on-dè" "dietro-front" "avant-march" del plotone
dei pompieri nel cortile della caserma. Tante sono le foglie degli alberi dei
viali che non si possono più contare. Ogni persona che si muove per le grandi
piazze non sembra più quella del superfluo ridondare delle figure di ieri.
Siamo nel desiderio di non pensare più a nulla. Appare, il ruminio delle idee,
barocchismo tardo ed inutile. Poter fermare il motore del cervello! : e potere
aderire con il cuore, ed immedesimarsi, nel genio, astrale e terrestre di te, o
Primavera!
(Luigi Bartolini, Gli esemplari unici o rari. Novantasei riproduzioni di acqueforti, Gherardo Casini Editore, Roma 1952)